Presentazione del Vangelo della Domenica
XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 16 Novembre 2025
Lc 21,5-19
Essendo alla penultima domenica dell’Anno Liturgico, la Chiesa propone un brano del lungo discorso “escatologico” (dal greco “ésḳatos/ultimo, sottinteso tempo”; oppure dalla forma del neutro plurale del medesimo termine) nella versione di Lc, caratterizzata da molti inserimenti esortativi (per 21,5-36 si parla di “grande apocalisse lucana” in vista di distinguerla dalla “piccola apocalisse” di 17,20-37). Spesso si nota che in campo cristiano, in specie cattolico, c’è pochissima conoscenza delle Scritture, in particolare del Vangelo; sì di solito ci si ferma alla superficie, al raccontino, interpretandolo in base al proprio punto di vista, anche in senso edificante, ma senza il pur minimo tentativo di approfondimento; San Girolamo del IV-V sec., definito il più grande interprete delle Sacre Scritture lungo la storia, ha lasciato scritto che l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo; se si considera pure che il testo sacro, in quanto originato fondamentalmente da Dio-Spirito Santo, ha valore infinito ed è inesauribile, c’è proprio di che preoccuparsi per stimolare l’impegno. Le note che seguono hanno l’intento di aiutare in questo.
Recependo gli esiti delle ricerche di un famoso studioso, il benedettino belga Jacques Dupont, si può individuare in Lc 21 l’organizzazione di tutto il discorso: introduzione (vv. 5-7), esortazione d’apertura (vv. 8-9), catastrofi cosmiche (vv. 10-11); ciò che dovrà accadere prima della fine del mondo: persecuzioni contro i cristiani (vv. 12-19), distruzione di Gerusalemme (vv. 20-24), catastrofi cosmiche (vv.25-33), esortazione conclusiva (vv. 34-36). Da questo schema appare che la fine del mondo è legata alla caduta di Gerusalemme e se ne vede in essa come l’annuncio. Quel discorso si trova anche negli altri due Sinottici, ma con differenze importanti, in primo luogo si può segnalare quella riguardante i destinatari: in Mt 24,1 e Mc 13,1 intervengono discepoli, Lc invece ha un generico “alcuni” in sintonia coll’impostazione universalistica di tutto il terzo vangelo; così anche dopo nell’interrogazione a Gesù, mentre gli altri due Sinottici, mettono sulla scena ancora i discepoli (cf Mt 24,3; Mc 13,3: quest’ultimo riporta alcuni nominativi), Lc ha il verbo alla terza persona plurale senza soggetto (v.7), ancora a indicare carattere indeterminato e illimitato. Viene precisata l’occasione del discorso (v.5): il richiamare da parte di “alcuni” con ammirazione l’attenzione sulla grandiosità e bellezza dell’impianto del tempio e sui doni votivi che ne accentuavano lo splendore; effettivamente, a quanto riferisce lo storico giudeo Giuseppe Flavio (I sec. d.C.) che lo descrive minuziosamente, Erode Magno, emulo della munificenza dei sovrani ellenistici, non aveva lesinato risorse per ricostruirlo sontuoso.
E, secondo il vangelo, Gesù interviene, mettendo al primo posto nella frase, quindi in evidenza, l’oggetto dello stupore ammirato, poi continua con “verranno giorni”, in linea con gli antichi profeti e ne predice la distruzione completa; in effetti i lavori di rifinitura del tempio terminarono pochi anni prima della sua definitiva rovina. Più avanti l’orizzonte si allarga a comprendere tutta la città (cf vv.20-24) e, come si diceva, la fine del mondo (cf vv.25-33). Allora gli pongono una duplice domanda: “quando … e quale sarà il segno, …?”; il particolare del titolo dato a Gesù può richiamare la dimensione universale notata sopra: per dire “Maestro” viene usato il termine “διδάσκαλος” che in Lc è messo in bocca a tutti, anche ai nemici (invece per i discepoli di solito si usa “ἐπιστάτης”). Certo la domanda pare riferita direttamente alla rovina del tempio di Gerusalemme, oggetto della predizione del Signore, ma, partendo di lì, il discorso, come affermato, si allarga alla fine del mondo e quella può essere considerata anticipo, segno della fine, anche se non immediata, quanto accadrà. Introdotto da una sorta di ripresa: “Lui poi diceva”, si ha un avvertimento a guardarsi dagli impostori che si presentano nel suo nome e pretendono di annunciare l’arrivo del tempo, seminando inutile agitazione e conseguente perdita della fede (cf 19,11). Il vangelo invita a non prestare loro ascolto, a non andare dietro ad essi; la fine non è immediata.
Ci saranno anche “guerre e rivoluzioni”, ma rimarranno ancora a livello della storia, non nella categoria della fine: queste cose “è necessario/deĩ” che accadano “prima”, ma non sarà subito la fine.
Dopo un ulteriore ripresa: “Allora diceva loro”, vengono indicati i segni della fine, ma con linguaggio apocalittico che prevede sconvolgimenti di popoli e cosmici, ma nessuno è autorizzato a fermarsi ad essi, prendendoli alla lettera; in tal modo si richiama il coinvolgimento nell’evento finale della storia non solo degli uomini, ma pure del cosmo. Il testo biblico richiama “prima di queste cose” lo stato di persecuzione, “normale” per i cristiani (cf Gv 15,20): cruenta o meno; questo “riuscirà per voi in testimonianza/εἰϛ μαρτύριον”. I seguaci di Cristo parteciperanno allo stesso destino riservato a lui (cf “a causa del mio nome”; fondamentale è la fiducia in lui, che assisterà nella prova e garantirà la vita: non preparare la difesa, non preoccuparsi, ma affidarsi con pieno abbandono nelle sue mani. Sembra che qui Lc anticipi quello che poi descriverà in At per Stefano e gli apostoli (cf At 6,10; 4,14; 26,28). Ci saranno opposizioni anche da parte dei familiari, ma si ribadisce l’assoluta fiducia in lui.
Dal lato umano per raggiungere la salvezza delle proprie anime (plurale di “pshyḳḗ/respiro, soffio vitale, vita”) si richiede la “perseveranza, sopportazione/hypomonḗ” (sotto-stare, costanza, perseveranza, sopportazione).