Presentazione del Vangelo della Domenica
SANTISSIMA TRINITÀ
Gv 16,12-15
Dopo aver celebrato i singoli misteri, oggi la liturgia presenta all’adorazione il mistero stesso di Dio secondo la sintesi teologica riportata in nota formula di preghiera: “unico Dio, in tre Persone uguali e distinte, Padre e Figlio e Spirito Santo”.
Il brano evangelico odierno è tratto ancora dai cosiddetti “discorsi di addio”, testi di profonda dottrina, elaborati dall’autore del quarto vangelo riportati al tempo di Gesù, ma assolutamente non alla portata della capacità di comprensione e della fede imperfetta dei discepoli prima della ricezione dello Spirito Santo, come fa capire il vangelo stesso (cf anche 14,26). Si tratta di affermazioni prese come base per lo sviluppo teologico successivo che ha condotto a quella che appare la verità centrale della fede e della vita cristiane, il mistero insondabile della vita divina nella Trinità: se ne hanno già tracce nell’AT con espressioni e rappresentazioni che suppongono una pluralità di persone in Dio (cf paternità divina; parola, sapienza e spirito di Dio; il Messia; etc.), ma trova la piena rivelazione nel NT con la formula trinitaria del Battesimo cristiano (cf Mt 28,19), nei racconti del battesimo di Gesù (cf Gv 1,32-34), della trasfigurazione (cf Mt 17,1-8), nel brano di oggi, etc. etc. E, se Gesù ha fatto conoscere quel mistero, non è certo per dimostrare agli uomini la propria limitatezza, ma si può ritenere soprattutto per mostrare loro la fonte e il modello della comunità: una pluralità di persone unite dallo stesso amore.
I discorsi di addio in Gv paiono di carattere composito: sono una raccolta di insegnamenti di Gesù per i suoi discepoli, ricca di ripetizioni, accostamenti, risonanze, interruzioni, riprese, etc.; ne risulta l’idea di essere davanti a tappe successive della tradizione e della riflessione dottrinale con conseguente composizione a più riprese: le parti più elaborate appaiono nel cap.14 (e anche c.17, mentre quelle più antiche dovrebbero essere i capp.15-16; comunque nella formulazione attuale si ha un buon esemplare letterario, la cui unità è garantita dall’unica ambientazione nell’ultima cena e dal ricorrere insistito degli stessi temi (fede, amore, verità, Spirito Santo – Paraclito, etc.). Tali notazioni possono essere utili anche per l’interpretazione.
Il testo offerto dalla liturgia esordisce affermando che Gesù ha ancora “molte cose” da dire ai suoi discepoli. Questo sembra contraddire la dottrina cristiano-cattolica, codificata dai concili ecumenici di Trento e Vaticano I, secondo cui la rivelazione scritturistica si deve intendere completa e definitiva. Ma, a guardare bene, la contraddizione non esiste, perché lo Spirito, nella sua funzione fondamentale all’interno della comunità, non aggiunge una propria verità: approfondisce quella rivelata da Gesù; subito dopo lo si chiama “Spirito della verità” (formula presente solo in Gv) che renderà capaci i discepoli di “portare” l’insegnamento del Maestro, cosa non in grado di fare ora: “guiderà” a “tutta la verità”; l’espressione può essere intesa nel senso di far assimilare, in quanto “dirà tutto ciò che udrà e … annuncerà le cose che verranno”: consentirà una penetrazione vitale dell’intera opera redentrice di Gesù. L’idea forte è che lo Spirito continua e sviluppa l’azione del Signore: non porta una nuova rivelazione, ma interpreta quella di Cristo rimasta ancora non del tutto compresa e trasparente. Così “glorifica” il rabbino di Nazareth, come questi ha glorificato il Padre (cf 14,13; 17,1.4); infatti, partendo da quello che egli ha detto, ne mostra tutta la grandezza e ne manifesta la divinità. Poi si specifica: “… prenderà dal mio…” e si precisa che il “mio” viene dal “Padre”. In tal modo si esprime la profonda unione tra Padre e Figlio, mentre la funzione propria dello Spirito appare essere quella di diffondere il messaggio di Cristo e disporre ad accettarlo, illuminando i credenti ad approfondire la fede ricevuta. Viene ribadito ancora che l’unico rivelatore è Cristo e l’attività dello Spirito Santo è essenzialmente legata alla sua, ma tute le tre Persone divine sono all’opera nel credente.
Come si è notato, già nell’AT si parlava di un Dio Padre, di “figli di Dio” e dell’azione dello Spirito divino, ma è solo nel NT che, pur spesso in parte con il medesimo linguaggio, si distinguono chiaramente le Persone trinitarie e si pongono le basi della formula di Dio, “Padre e Figlio e Spirito Santo”. A parte accenni nelle lettere di Paolo e nel vangelo di Giovanni, la rivelazione della Trinità non è oggetto di trattazione specifica, ma si può ricavare da episodi o dissertazioni dottrinali di vario genere, prevalenti in Gv, come nel passo di oggi. La “verità” è la persona di Gesù in parole e opere (cf 14,6); quindi è molto più che la “verità-fedeltà” dell’AT o della verità ritenuta come pura conoscenza intellettuale della cultura occidentale, derivata da quella greca. Il brano evangelico parla soprattutto dello Spirito, ma, come si è rilevato, visto intimamente legato alle altre Persone di Dio. Pure lui va inteso come persona, poiché viene presentato come tale (senza che appaia linguaggio metaforico): è indicato con pronome personale (“quegli, lui”), è soggetto del verbo venire, conduce alla verità; parla, ode, annuncia. È la guida che prolunga l’opera di Gesù; fa approfondire ai discepoli il mistero del Maestro che essi hanno solo intravisto durante la lunga dimestichezza con lui; in più annuncia le “cose che verranno”. Probabilmente non ci si riferisce alla morte e risurrezione di Gesù, già al passato quando viene scritto il vangelo, così sembra da escludere che si tratti del ritorno glorioso del Signore alla fine dei tempi, perché questa verità non è per nulla accentuata nel vangelo di Giovanni (cf “escatologia realizzata”); è più facile che si parli dell’avvenire della chiesa nelle sue alterne vicende, interpretate dallo Spirito alla luce di Gesù. Allora lo Spirito prolunga la missione del Signore, come lui, è inviato dal Padre: si può concludere, secondo l’enunciato successivo della teologia occidentale, che Egli procede dal Padre e dal Figlio. Proprio gli ultimi due versetti dell’odierno brano liturgico vanno considerati chiara testimonianza circa l’unità di natura e la distinzione delle persone nella Trinità e pure circa la “processione” dello Spirito dal Padre e dal Figlio.